Ci siamo presi una pausa prolungata. Abbiamo messo il naso fuori confine e, nella Bretagna del Sud, abbiamo scovato il paesaggio straordinario che si aggiudica la prima cartolina dell’anno.
Carnac - Bretagna (FR)
18 gennaio 2022
tempo di lettura: 5’ 20’’
“… i cavernicoli sentivano il bisogno di fare graffiti sulle fredde pareti delle grotte per padroneggiarne l’angosciosa estraneità minerale, familiarizzarle, rovesciarle nel proprio spazio interiore, annetterle alla fisicità del vissuto.”
(da “Se una notte d’inverno un viaggiatore, di I. Calvino)
Ci troviamo nel sito megalitico di Carnac, una piccola cittadina che si affaccia sulla Baia di Quiberon, nota come la “California della Bretagna” per il clima mite e soleggiato che contrasta con quello ventoso, fresco e piovoso del resto della regione. Qui si trova una delle più straordinarie concentrazioni di monoliti eretti del mondo e la più grande d’Europa, un complesso di 3.000 Menhir (parola che deriva proprio dalla lingua bretone e che significa pietra lunga Men = pietra + Hir = lunga) allineati in decine di file parallele per un’estensione di quasi 4 km. Oltre a questo sito, diventato patrimonio storico nel 1889, nelle penisole della baia si contano altri 550 monumenti tra menhir solitari, dolmen (una sorta di trabeazione primitiva) e cromlech (menhir con disposizioni più articolate, spesso in cerchio o ad ellisse) molti dei quali sommersi dalla vegetazione, incastrati nei boschi o addirittura tra le case dei piccoli centri abitati. Insomma in questo angolo di Bretagna esiste un ecosistema diffuso di pietre unico al mondo che, nonostante le piccole costruzioni sorte nel mezzo, l’andirivieni di pecore e cavalli, lo snodarsi di strade e percorsi ha preservato nei secoli la sua aurea di potenza e mistero.
Infatti quella dei siti megalitici è una storia misteriosa. Le spiegazioni a questi monumenti non sono che supposizioni spesso vaghe e la collocazione storica è piuttosto incerta: si datano tra il 5.000 e il 3.000 a.C. La teoria più diffusa è che avessero una funzione astronomica e religiosa, la prima associata allo studio delle fasi lunari e all’inclinazione della luce nelle diverse stagioni (una sorta di calendario od orologio), la seconda legata al culto del Sole. Qualunque fosse la ragione di tali monumenti di certo doveva essere importante perché, considerando il livello rudimentale delle tecniche dell’epoca, spostare ed erigere una tale quantità di monoliti ha di certo rappresentato un grande sforzo e un impegno durato decine (o centinaia?) di anni.
Passeggiando tra i menhir di Kermario, uno degli allineamenti più imponenti, si nota che le pietre non sono disposte casualmente, ma procedono secondo un ordine di altezza e disegnano una traiettoria leggermente curvilinea evidentemente intenzionale. Così come la conformazione del paesaggio, con un avallo nel mezzo dell’estensione longitudinale, suggerisce una scelta ponderata dell’area.
Perché questa disposizione? Con quali elementi dialogano queste pietre? Con il Sole, la Luna, il Vento, il Mare? E perché proprio qui, in questo luogo e non altrove?
Noi, architetti alle prese con l’ambiente costruito, non abbiamo certo gli strumenti per rispondere a queste domande su cui storici e archeologici riflettono da generazioni, ma una cosa la possiamo dire ed è che tutto questo rappresenta una forma straordinaria e dirompente di adozione del paesaggio. Adottare deriva dal latino optare che significa “desiderare e scegliere” e che il suffisso ad rafforza nel senso figurato del “fare proprio”.
Infatti gli allineamenti ci dicono qualcosa che va oltre la forza fisica e le capacità tecniche di questi uomini e donne. Reperire le pietre, forse sbozzarle secondo un’idea (hanno forme affini), scegliere l’area, probabilmente disboscare e infine allineare i monoliti secondo una logica precisa sono operazioni che richiedono un pensiero metafisico, astratto e simbolico che anche se facciamo fatica a decifrare è chiaramente visibile.
Non è forse un incipit di quella trasformazione del paesaggio che l’uomo porta avanti da migliaia di anni?
La capacità di scegliere, trasformare e immaginare lo spazio secondo un proprio pensiero è la manifestazione della necessità dell’essere umano di familiarizzare e addomesticare la Natura e di renderla meno estranea cercando di fare propri alcuni dei suoi elementi e di trasferirli da un mondo esterno, altro, incomprensibile, ad un mondo interno, governabile dal pensiero e dal progetto. C’è stato un momento in cui l’Uomo ha cominciato ad appropriarsi della “terra di nessuno” (o forse sarebbe meglio dire di tutte e di tutti) piegandola alle sue necessità e volontà, dando così il via a quel lungo percorso che è sfociato poi nella nascita del paesaggio come lo intendiamo oggi (ridisegnato secondo le necessità dell’agricoltura), delle costruzioni (la “casa” con funzione di riparo) e infine di quel sistema organizzato e complesso chiamato città.
Quella dei megaliti è a tutti gli effetti una pratica d’architettura senza massa costruita in campo aperto (di questa definizione parleremo più avanti). Menhir, dolmen e cromlech si trovano infatti sparsi in tutto il mondo (con una notevole concentrazione sulle coste bretoni, inglesi, portoghesi e sarde) il che significa che, nonostante le distanze geografiche, l’Uomo dell’epoca aveva escogitato un modo condiviso per restituirsi al cospetto dello spazio, per cercare di definirne i limiti e le regole, per alterarne la conformazione e le fattezze e rendere così accettabile la condizione di fragilità e precarietà nei confronti degli altri elementi e componenti della Natura.
Le nostre non sono che supposizioni. La ragione di questi complessi megalitici continua a sfuggirci. Di una cosa però possiamo essere certi, il paesaggio in questi 7000 anni di storia non ha rigettato l’azione trasformativa ma al contrario l’ha inglobata nella sua morfologia, l’ha accettata e a sua volta trasformata, facendola così arrivare fino a qui.
Quel gesto radicale di uomini e donne a noi sconosciuti, ha instaurato con la Natura un dialogo potente e profondo che, nonostante tutto, continua misteriosamente a rivelarsi.
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