Cartoline - Paesaggi immaginari e dove trovarli
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Continuiamo nel mood vacanze di fine estate, raccontandovi di un fenomeno turistico che si muove sul filo della legalità e che si confronta in modo quasi sfacciato e provocatorio con l’Antropocene e i suoi effetti.
Cartolina n° ventuno
data: 07 IX 2021
luogo: Dark Tourism
n° di serie: 21
Nel 1979 Andrej Tarkovskij (1932-1986), il maggiore regista russo del Novecento, presenta al pubblico “Stalker” la sua opera più emblematica, un film fatto di lentissime carrellate su paesaggi ed elementi naturali, di suoni stranianti, di dialoghi dal ritmo estenuante e di un’atmosfera da apocalisse post-atomica. Il protagonista (lo stalker) è un traghettatore che conduce all’interno della “zona”. Cos’è la zona? È un luogo immaginario e metaforico, ma con una matrice reale; si ispira infatti al territorio danneggiato dall’incidente nucleare, mai ufficialmente menzionato, avvenuto a Chelyabinsk (Russia) nel 1957, che ha inquinato diverse centinaia di chilometri quadrati, completamente abbandonati dall’uomo. Il film è stato girato in Estonia, in altri luoghi devastati dall’inquinamento chimico. A detta di Vladimir Sharun, tecnico del suono del film, alcuni membri della troupe, compreso il regista, avrebbero riportato malattie e disturbi proprio a causa dell’esposizione alle sostanze chimiche.
“Stalker” di Andrej Tarkovskij, 1979
Che il film sia una gigantesca metafora e che la zona sia reale o meno, poco importa, quello che è certo è che l’uomo ne esce come un essere distruttivo, egoista, capace di devastare il mondo in cui vive e di minacciare la sua stessa sopravvivenza. Tarkovskij, senza mezzi termini, ci fa presente che abbiamo rotto il legame con la Natura e che i disastri ecologici sono il risultato tangibile della fine di questo rapporto.
Ma c’è un’altra cosa che “Stalker” anticipa e in un certo senso prevede, ed è il fascino esercitato dal disastro, la morbosa curiosità di vederne da vicino gli effetti e di sfidare il pericolo.
Questo fascino da qualche anno ha dato vita al Dark Tourism, la nuova tendenza del turismo che guida i visitatori in posti spettrali e tabù, distrutti o abbandonati, teatri di stragi e carneficine. Mostrare scatti e video straordinari, prove di coraggio e temerarietà, è solo una delle motivazioni che sta dietro a tutto questo che è di fatto un fenomeno più complesso e significativo di quanto sembri e che comincia a far parlare di sé e ad interessare magazine di viaggio e tour operator.
Noi, che “sappiamo dove trovare” i paesaggi immaginari, non possiamo esimerci dal riportare ai nostri lettori alcune di queste mete fuori dall’ordinario.
Una delle delle più ambite è, manco a dirlo, Černobyl (Ucraina) e la vicina città fantasma di Prypyat che nel 1986 è stata teatro di uno dei peggiori disastri nucleari di tutti i tempi. I livelli di radiazione dell’area si sono abbassati, ma non è certo un’area sicura e non lo sarà ancora per millenni, eppure le proposte di tour da parte delle compagnie di viaggio locali si stanno moltiplicando e ci sono molti visitatori che sono disposti a pagare 90 dollari pur di avvicinarsi il più possibile al cuore del disastro.
CREDIT: GETTY IMAGES/ISTOCKPHOTO
Un altro caso interessante è quello di Berkeley Pit, il gigantesco lago artificiale tossico del Montana. Si tratta di un ex-miniera di rame "a cielo aperto" degli ’60 che, quando fu chiusa nel 1982, in seguito alla disattivazione delle pompe, cominciò a riempirsi di acqua con arsenico, piombo e cadmio. Il verde straordinario delle sue acque è proprio dovuto ai depositi tossici di minerali che non si dissolvono, ossidandosi. Negli anni '90, uno stormo di oche sostò nei pressi di questo bacino e in pochi giorni furono trovati morti più di 340 uccelli. La fossa è enorme, misura circa 1,5 kmq ed è profonda 350 metri, il suo livello sta salendo e si stima che entro il 2023 possa cedere e traboccare contaminando l'acqua potabile dei territori circostanti. Nonostante questo le visite aumentano: nel 2018 sono stati registrati 35.000 visitatori paganti (è l’unico lago al mondo a pagamento).
CREDIT: JANIE OSBORNE/GETTY IMAGES
Il Dark Tourism ci dice qualcosa della nostra società, del modo in cui ci relazioniamo al paesaggio e di quali sentimenti ed emozioni suscita la distruzione di cui siamo artefici. Ci sentiamo di parlare al plurale perché crediamo che ciascuno di noi sia coinvolto e debba interrogarsi sugli strani risvolti che sta prendendo la questione. In rete ci sono diversi articoli che cercano di dare spiegazioni di carattere psico-sociale sul tema; tra le tante quella più interessante è legata al fascino per il sublime, definito come “un’esperienza emotiva attraente e ambigua. Sublime, dal latino sublimis è un termine composto da sub «sotto» e limen «soglia» e che potrebbe quindi essere tradotto come «che giunge fin sotto la soglia più alta». Ecco, forse è proprio questo che il dark tourism ci sta segnalando, il nostro desiderio di raggiungere il limite, di spingerci fino all’estremo e andare oltre per godere dell’estasi di intravedere ciò che c’è al di là, a qualunque costo.
DALLA PAGINA FACEBOOK @thezonemovie
A tal proposito molti spunti interessanti e degni di riflessione vengono offerti dal documentario The zone di Alessandro Tesei e Pierpaolo Mittica (un estratto è stato pubblicato nel 2019 dall’Internazionale, a questo link). I protagonisti sono gli stalker di Prypyat, giovani ragazzi che, come nel film di Tarkovskij, frequentano la zona e accompagnano i visitatori in tour che stanno sul filo dell’illegalità. Quello che emerge dalle loro riflessioni è che questi luoghi, letteralmente devastati, finiti, esauriti, sono e devono essere occasioni per guardare in faccia la realtà e prendere coscienza di ciò che rimane dopo la tragedia. In un certo senso è come se fossero monumenti perché preservano una storia che, anche se non ne possiamo andare orgogliosi, fa comunque parte di noi.
Ma c’è di più. I giovani stalker confessano che il superare il limite è prima di tutto una cosa che fanno per se stessi, perché dicono:
inspiegabilmente e misteriosamente, nel varcare la soglia della zona si stabilisce una connessione con la Natura impossibile altrove. La desolazione dei boschi e delle città diviene occasione per ascoltare il lamento della Terra e le reazioni della propria mente.
Internazionale - 31 luglio 2019
Questo ci fa prendere coscienza del fatto che le trasformazioni irreversibili che abbiamo inflitto al paesaggio hanno confuso i limiti tra paesaggio naturale e artificiale, cancellando del tutto la soglia. Un tema estremamente attuale, date le scomode eredità che stiamo lasciando al pianeta. E non serve andare a Černobyl o Berkeley Pit per confrontarsi con il disastro, basta cambiare prospettiva e osservare con nuova consapevolezza i luoghi della nostra quotidianità, per vederli disseminati di abbandono, incuria, inquinamento e per rendersi conto che stanno scomparendo dalla mappa.
Chiediamo scusa per il tono dark di questa cartolina, ma siamo certi che confrontarsi con il lato più scuro delle cose serva a farsi contaminare dall’ambiguità del sublime per trovare la spinta necessaria a rimboccarsi le maniche e a fare, nel nostro piccolo, come gli stalker di Černobyl che invece che girare la testa dall’altra parte si immergono a piè pari alla ricerca di un contatto profondo con il paesaggio, per farne, si spera, l’occasione per una trasformazione di modi, prassi, atteggiamenti.
Se hai letto fino a qui … GRAZIE!
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Appuntamento al prossimo martedì!
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