Lo spazio ci appartiene e noi apparteniamo allo spazio. Una frase scontata, ma spesso dimenticata. Abbiamo infatti pochissima coscienza sia dei luoghi che viviamo che del modo in cui il nostro corpo li attraversa. La maggior parte di noi vive immersa in paesaggi estremamente urbanizzati senza interrogarsi su come ciò influisca sul nostro benessere psico-fisico e anche sociale e di comunità. Eppure lo stesso Ministero della Salute nel 2019 ha dichiarato come asse portante delle prossime progettualità la triangolazione: industrializzazione, urbanizzazione e spazio libero, a significare che la relazione dell’Homo Urbanus con l’ambiente costruito è una questione di salute.
Italia
14 dicembre 2021
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Purtroppo l’architettura sembra dimenticarsi di questa connessione tra contesto e benessere fisico, come dimostra la gran quantità di spazi insani di cui dissemina il paesaggio urbano; basti pensare allo spazio pubblico, spesso così anonimo e insignificante da essere dimenticabile o così rigido da essere inutilizzabile. Che dire ad esempio delle aree verdi in cui vige il divieto di calpestare l’erba e dove l’unica cosa che si può fare è sedere su una panchina o percorrere i vialetti con disciplina. Se l’architettura non arriva a comprendere che la rigidità e lo squallore influenzano il corpo, la mente e i comportamenti di chi li subisce, è perché è troppo impegnata a seguire le regole e gli schemi predefiniti della cultura dominante, a differenza di discipline che fanno della ribellione proattiva ai limiti il loro credo, come il parkour1 e l’arte performativa.
L’esercizio che vi proponiamo con la cartolina di oggi è proprio questo: rompere la rigidità disciplinare e spaziale mettendosi nei panni di coloro che stanno operando una trasformazione profondissima delle nostre prassi di uso dello spazio, quasi una rivoluzione silenziosa: Antonio Calefato, in arte Shino, uno dei maggiori esponenti italiani dell’art du déplacement (arte dello spostamento, il parkour appunto) e fondatore di Activita, e il performer e sound artist Fabrizio Saiu. Accomunati dalla ricerca sulla relazione tra il corpo e l’ambiente urbano, entrambi fanno dell’attraversamento dello spazio lo strumento per lo sviluppo di una piena consapevolezza di sé e dell’altro.
Antonio Shino Calefato presso Gerlev Idrætshøjskole - Fotografia di Jon Øyjord
Shino è un traceur (termine che identifica chi pratica parkour) e ha alle spalle studi, ricerche e anni di pratica che lo hanno portato a definire il parkour come “punto d'incontro tra la visione dell'architettura sostenibile e l'educazione al movimento all'aperto, soprattutto nella progettazione di città attive".
Durante una recente conversazione ci dice:
Il parkour è un attraversamento dello spazio a prescindere dai suoi limiti e considera l’architettura come una piattaforma per l’esplorazione del corpo e per l’elasticità della mente.
Per questo motivo i traceurs sono alla continua ricerca di luoghi flessibili che offrono la possibilità di reinventare gli usi dello spazio, facendo di questa loro abilità una filosofia di vita e di pensiero. Il parkour insegna infatti ad affrontare l’imprevisto e ad inventarsi un proprio modo di esserci e di muoversi. Allenarsi alla flessibilità è un modo per orientarsi in una giungla urbana con cui, oggi più che mai, siamo chiamati a convivere.
Guardando i video si ha l’impressione che i traceurs abbiano una visione privilegiata dell’architettura che considerano un vero playground, un gioco e come tale uno strumento educativo dall’enorme potenziale. Infatti, come afferma lo stesso Shino “dal muretto alla vita il passo è breve”. Chi fa parkour allena costantemente e quotidianamente non solo il corpo ma la mente, deve essere pronto ad osservare, risolvere problemi, prendere decisioni, relazionarsi all’imprevedibilità del contesto, senza lasciarsi sopraffare. Nel mentre la città assume un nuovo significato, viene scomposta e ricodificata, vissuta nei suoi interstizi e così rivitalizzata.
Ma i piani di lettura dell’art du déplacement possono essere ancora più articolari, come emerge da Intermission, la performance di Fabrizio Saiu che è frutto di un'ibridazione di pratiche e che nasce proprio dall’incontro con Shino. Con questa azione performativa, già testata in diverse città italiane, il performer sardo sperimenta le relazioni di interferenza e connessione tra soundart e parkour, dimostrando che la città non solo può essere attraversata ma anche fatta risuonare.
A Intermission partecipano traceurs professionisti 2 che percorrono in modo disperso lo spazio urbano, trascinando piatti a percussione che, parallelamente al movimento del corpo, tracciano traiettorie sonore. I piatti si infrangono contro le barriere architettoniche evidenziando le de-funzionalità dello spazio; allo stesso tempo trasformano il limite in potenzialità proponendo un uso diverso delle strutture urbane.
Lo stesso Saiu afferma:
Intermission è un’esplorazione della città e dell’architettura assolutamente fuori dall’ordinario, una sorta di situazionismo estremo, che comporta una modifica all'ambiente acustico urbano e un’interruzione ai normali flussi urbani. La performance destabilizza lo spettatore che il più delle volte non è preparato, semplicemente attraversa casualmente le traiettorie dei traceurs e si trova catapultato in un modo di vedere la città e gli spazi quotidiani completamente nuovo, del tutto unico e spaesante. Anche per questo a volte le città sono piuttosto reticenti ad accogliere Intermission...non si sentono pronte.
Forse ad essere messe a nudo, aggiungiamo noi!
Il parkour di Shino e la deriva sonora proposta da Saiu dimostrano che attraversare lo spazio non è solo spettacolo, ma è un atteggiamento e uno strumento per costruire una critica costruttiva all’inadeguatezza dell’ambiente costruito alle necessità dell'essere umano.
E l’architettura, se davvero vorrà dirsi sostenibile e quindi contribuire a migliorare la qualità di vita dei suoi abitanti, dovrà prendere coscienza di tutto questo e cominciare a progettare l’inusuale alleandosi a chi l’inusuale lo vive.
Per approfondire vi consigliamo la lettura di questi articoli:
Parkour – a bridge between motor activities and live-ability practices in the urban
Guardare sempre avanti: Laurent Piemontesi racconta l’Art du Déplacement
Se hai letto fino a qui … GRAZIE!
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Arrivederci alla prossima cartolina!
L’origine del Parkour può essere fatta risalire all’insegnante francese George Hebert che, ispirato dalla libertà con cui i nativi africani si muovono nella natura circostante, ha messo a punto un “percorso a ostacoli" che è diventato la base dei programmi di addestramento militare e dei corsi di fitness e di formazione aziendale e ha inventato il motto "Sii forte per essere utile". Questo tipo di allenamento si è diffuso rapidamente anche al di fuori dell’ambito militare, diventando un modo alternativo e “destrutturato” di muoversi e vivere lo spazio; nello specifico nelle banlieue francesi ha dato vita ad un movimento che è andato via via affermandosi e che, all'inizio del 2000, ha attirato l'attenzione dei giovani e dei mass media colpiti dalla sua spettacolarità. È così che il parkour è diventato popolare, tanto che dal 2019 il Ministero della Salute considera le attività destrutturate come promotrici di salute psico-fisica.
Per Intermission Fabrizio Saiu ha collaborato con Activita, Parkourwave e Parkourbros.