Il paesaggio non può prescindere dalla comunità che lo vive e viceversa, tanto da poter dire che, in fondo, siano la stessa cosa. Il primo infatti esiste nel momento in cui viene pensato e immaginato da un gruppo di uomini e donne che scelgono un dato territorio per mettere radici e strutturare l’involucro fisico del loro abitare; allo stesso modo lo spazio scelto e le sue caratteristiche morfologiche e climatiche influiscono sui modi e sulle pratiche della comunità che si traducono in oggetti e gesti, come il solco dell’aratro, i canti e le danze che generano l'identità della stessa comunità e del territorio che la ospita. Un esempio emblematico di questa relazione è il rituale inteso come azione performativa collettiva propiziatoria e/o scaramantica che permette al gruppo di affrontare l’imprevedibilità dell’ambiente e l’ignoto dei fenomeni naturali.
Ardesio - Bergamo (IT)
1 febbraio 2022
tempo di lettura: 4’ 30’’
Siamo i miti e le storie collettive e individuali che creiamo
(Giovanni Mocchi - Etnomusicologo)
Le comunità che nei secoli sono riuscite a preservare i rituali, adattandoli alla contemporaneità, manifestano ancora oggi un attaccamento viscerale ai loro luoghi e una cura meticolosa del paesaggio.
Abbiamo avuto la fortuna di intercettare una di queste realtà, custode del proprio territorio, stiamo parlando di Ardesio, nell’alta val Seriana (BG) che la sera del 31 gennaio celebra il rituale in cui, da secoli, si riconosce: il Zenerù (che in dialetto bergamasco significa Gennaione).
Quella della “scacciata dell’inverno” è una pratica comune a molte realtà delle regioni montane europee, ma ad Ardesio si è mantenuta così viva e sentita tanto da essere in un certo senso l’anima della comunità stessa. Durante il rituale i valligiani si ritrovano in paese, percorrono le strade e le piazze suonando campanacci e percussioni e confluiscono intorno al falò in cui brucia il fantoccio che rappresenta lo spirito dell’inverno.
Il gesto performativo che dà linfa vitale al Zenerù è la percussione ripetuta che nell’amplificazione della moltitudine provoca un frastuono tale da gettare uomini e donne in una vera e propria trance durante la quale costruiscono un paesaggio immaginario dove l’inverno, tramortito dalle vibrazioni, fugge lasciando spazio alla primavera.
Il rituale è tuttora praticato perché si è adattato alla contemporaneità, accettando trasformazioni in linea con le nuove esigenze espressive e i nuovi simboli. Un esempio su tutti il caso del 1965 quando una troupe RAI, per esigenze televisive, personifica il Zenerù in modo da poter mostrare il malvagio da scacciare.
Da allora al rituale si aggiunge un’altra pratica collettiva: la costruzione del fantoccio a cui prende parte tutta la comunità e che riempie le serate dei giovani del paese che nelle settimane precedenti si ritrovano in quello che hanno rinominato “bunker zenerù” per progettare e costruire il Zenerù. Chi decide quale forma dovrà assumere il fantoccio? Anche in questo caso la comunità ha una risposta certa: il pastore eremita Flaminio Beretta che da ragazzino ha salvato il rituale dall’oblio continuando a praticarlo, insieme a pochi altri, e che quindi oggi è riconosciuto dalla comunità come custode del Zenerù.
Ma la ragione va oltre questo, infatti i valligiani riconoscono in Flaminio l’uomo selvatico perché vive solo, provvede in forma completamente autonoma alla sua sussistenza, autocostruisce strumenti e macchinari e abdica da qualsiasi tipo di servizio, come l’elettricità o l’acqua corrente, regolando così la sua quotidianità in base al ciclo del sole e delle stagioni.
Recentemente è uscito il film documentario Zenerù, del regista Andrea Grasselli, che offre allo spettatore un ritratto potente, sincero e poetico di quest’uomo selvatico, esaltando la sua sensibilità e intelligenza e sottolineando il valore universale e atemporale delle sue pratiche. Il documentario trasforma il pastore in un simbolo, rappresentandolo come superstite di un modo di vivere in sintonia e dialogo con il paesaggio che è svanito ma a cui forse, come il film propone, sarà indispensabile tornare. Flaminio è veicolo di un altro messaggio fondamentale, soprattutto per l’epoca contemporanea, ossia l’importanza di tornare ad accordarsi al tempo ciclico della Natura e abbandonare quello lineare dell’artificio che ha portato l’essere umano a disconnettersi dall’ambiente e a perdere quell'antica capacità di interpretarne i segnali e di immaginare così un paesaggio in cui prima riconoscersi come gruppo e nel quale poi costruire luoghi, modi, pratiche di convivenza sostenibili per se stesso e per gli altri esseri viventi.
Il Zenerù e il suo custode sono così uno dei pochi esempi rimasti della sapienza collettiva capace di costruire comunità resistenti, legate al territorio prima nell’immaginazione e poi nella realtà. Queste pratiche collettive sono ciò che consideriamo i nuovi monumenti dell’ambiente costruito che meritano di essere raccontati e conosciuti, cominciando proprio da una Cartolina.
Mithen nel testo “Il canto degli antenati” scrive “il cantare, suonare e ballare insieme sono la strategia più funzionale alla cooperazione sociale” per questo vi auguriamo di trovare presto la vostra danza con cui immaginare e generare la vostra comunità.
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