Cartoline - Paesaggi immaginari e dove trovarli
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Le Cartoline sono tornate con la voglia di trattenere ancora un po’ il mood vacanziero.
Per questo vi proponiamo un viaggio.
Dove? Al museo, il luogo sacro alle Muse1, sacro perché, nel conservare le testimonianze delle arti, è capace di difendere e tutelare i ponti con il passato, strumenti preziosi per capire il presente e per immaginare il futuro.
Cartolina n° venti
data: 31 VIII 2021
luogo: Torino (IT)
n° di serie: 20
Uno dei luoghi che conserva questa sacralità è senza dubbio il MAO, il Museo di Arte Orientale di Torino (IT) che ha sede nello storico Palazzo Mazzonis, residenza della nobiltà sabauda fin dall’epoca barocca, e che conserva una delle raccolte artistiche asiatiche più interessanti d'Italia. L’allestimento permanente è composto da circa 2.300 pezzi che coprono un arco temporale che parte dal Neolitico e arriva fino agli inizi del secolo scorso e che testimonia la ricchezza culturale di un’area geografica estremamente estesa e con una incredibile diversità di paesaggi. Il museo è una vera porta sull’Asia perché non solo reca testimonianza di quello che è stato, ma dà spazio al presente e fornisce gli strumenti per interrogarsi sui tempi che verranno.
Nello specifico in questi mesi le sue sale ospitano la mostra temporanea China goes Urban che completa il già ricchissimo percorso espositivo permanente che, raccontando le contraddizioni tra passato e presente, tradizione e innovazione, paesaggi rurali e urbani della civiltà multisecolare cinese, riesce a rivelare con efficacia tutto il fascino dell’anima volitiva e sorprendente della Cina. Così fino al 10 ottobre il viaggio al MAO è ancora più esteso e inizia dalle terrecotte, che recano ancora traccia delle impronte di artigiani vissuti migliaia di anni fa, e termina con il cemento e l’acciaio delle città contemporanee che crescono a vista d’occhio e senza soluzione di continuità.
La mostra è l’esito della ricerca, condotta direttamente sul campo, di China Room il centro di ricerca del Politecnico di Torino in collaborazione con l’Università Tsinghua di Pechino. I ricercatori hanno seguito da vicino la costruzione di Tongzhou, Zhaoqing, Zhengdong e Lanzhou, le quattro new town scelte come modelli per comprendere la strategia con cui la Cina sta affrontando l’ondata migratoria dalla campagna alla città.
Il fenomeno dell’urbanizzazione non è nulla di nuovo e anzi la Cina non ha ancora raggiunto il livello di Europa e Stati Uniti che registrano un percentuale di popolazione inurbata pari al 75% - 80% del totale. Il fatto è che questa migrazione dalla campagna alla città sta avvenendo rapidamente e sta facendo registrare dati mai visti prima d’ora: negli ultimi quarant’anni sono circa 16 milioni le persone che giungono nelle megalopoli dalle aree rurali alla ricerca di opportunità e di una vita migliore.
Render per “Xiongan New Town”, di Cagnardi Cattaneo Kipar (2019, provincia del Hebei) - © Courtesy: Gregotti Associati International
Per questo può essere definito un fenomeno di massa che il governo si trova a dover affrontare adottando metodi e misure precise. Tra queste, appunto, le new town. La necessità è quella di spostare il flusso migratorio che ora si muove unicamente verso le aree vicine alla costa, che includono Pechino, Shanghai o Canton e che sono sotto pressione ormai da anni, e di indirizzarlo altrove per bilanciare il traffico, l’inquinamento e la distribuzione del territorio. Le soluzioni sono 2 e sono piuttosto ovvie:
costruire nuove città appena fuori dalle megalopoli;
costruire nuove città nei territori vuoti dell’entroterra.
Nel primo caso si tratta di città dormitorio fatte di edifici costruiti in serie per rispondere al fabbisogno abitativo (come nel caso di Zhengdong la città satellite sorta tra Pechino o Shanghai), nel secondo invece si tratta di città che usano l’architettura come “forma di richiamo”, facendo leva sugli edifici simbolo e glamour capaci di rendere attraenti luoghi altrimenti percepiti come inospitali (è questo il caso di Lanzhou la “città spuntata dal nulla” a 2.000 km dalla costa, a cui è stato fatto spazio addirittura tagliando le montagne). Le soluzioni messe in campo non hanno nulla di innovativo, quello che c’è di diverso è che, grazie a un fortissimo centralismo statale, il governo ha costruito rapporti molto fluidi tra amministrazioni e developer immobiliari, in modo da agevolare masterplan e infrastrutturazione. Lo sviluppo urbano cinese è infatti guidato dalle reti, sia quelle visibili, come autostrade, ferrovie e metropolitane, sia quelle invisibili ovvero le reti informatiche e digitali che dominano l’urbanizzazione e che contribuiscono a dotare le nuove città di un altissimo grado di digitalizzazione e quindi a renderle ancora più attraenti per chi arriva dai territori rurali.
Nuovi edifici con aeroplano (2019, Tongzhou New Town Pechino) - © Samuele Pellecchia
Tutto ciò sta avvenendo a ritmi vertiginosi, basti pensare che le New Town sono state pensate solo a metà degli Anni Dieci, un passato recentissimo che in breve tempo ha segnato il paesaggio in modo profondo e lo ha cambiato in modo irreversibile, un cambiamento che è tuttavia già destinato ad essere superato.
Infatti oggi, in Cina, si sta affermando un nuovo modello di città, voluto da Xi Jinping che è entrato al potere nel 2012, e che propone centri urbani a bassa densità, fondati sul rapporto diretto con la produzione agricola e più integrati con la natura. È proprio questa rapidità al cambiamento che getta tutti nello sconcerto, che affascina e che pure preoccupa, e che la mostra China goes Urban restituisce in modo davvero efficace.
L’esposizione è infatti un susseguirsi di materiali molto diversi tra loro (immagini, video, masterplan e brochure di agenzie immobiliari, maquette di unità abitative in serie e dell’architettura-oggetto, infografiche accattivanti e numeri mirabolanti) che riproducono nel visitatore quel senso di spaesamento che è proprio della realtà urbana cinese contemporanea.
Non sono le didascalie a guidare la visita, ma bensì i cortocircuiti visivi, narrativi e di pensiero dovuti all’evidente difficoltà di comprendere e digerire una convivenza tra presente e passato, tra rurale e urbano, tra architettura e società che si mostra sfacciata e che palesa un pericolo o forse, qualcuno potrebbe anche pensare, un sogno.
China Goes Urban - © Samuele Pellecchia
La questione è delicata e complessa, e non poteva scegliere luogo migliore per essere esposta. Sì, perché il contrasto tra le fotografie e i video di Prospekt Photographers e i tesori custoditi al MAO, aiuta a ricostruire una panoramica che, invece che fornire risposte, suggerisce innumerevoli domande, tra tutte una:
Tutto questo ci riguarda e se sì, in che modo?
La risposta è proprio nelle gallerie del museo, dove le terrecotte, la grazia delle statue e delle carte, le tavole incise e i libri ci obbligano a riconoscere, con onestà, quanto abbiano influenzato la nostra cultura Occidentale. E quindi come nel passato, così nel presente, i paesaggi urbani cinesi e le loro logiche di sviluppo inevitabilmente avranno ripercussioni sui nostri che erroneamente crediamo essere esenti o estranei, ma che invece non sono altro che l’altra faccia della medaglia. In questo risiede il carattere sacro del MAO, nel saper mettere in discussione ciò che viene dato per scontato.
© Samuele Pellecchia
Noi all’uscita dal museo ci siamo sentiti un po’ disorientati, proprio come quando, dopo un lungo viaggio, anche “casa” appare diversa, sotto una nuova luce e ci mette davanti ad una scelta:
lasciamo tutto com’é o, aprendo i bagagli, cominciamo a contaminare?
Se hai letto fino a qui … GRAZIE!
Se hai qualche commento o suggerimento, scrivici!
Appuntamento al prossimo martedì!
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Il termine MUSEO proviene dal greco antico e significa luogo sacro alle Muse.