Cartoline - La newsletter che dà visibilità e rilevanza alla scala umana del cambiamento.
La relazione tra architettura, design e scienze sociali è controversa. Spesso si riduce a incursioni sporadiche nei campi e nelle pratiche di una disciplina o dell’altra, senza un vero sodalizio professionale. La cosa è strana perché tutte hanno a che fare con lo spazio e con le relazioni che vi si manifestano. Inoltre la realtà dei fatti ci dice chiaramente che gli edifici e le infrastrutture, la loro disposizione e il loro uso incoraggiano (a volte anche inibiscono) forme di socialità e che facilitano le comunità a riconoscersi agevolando la condivisione di modi e di riti. Basti pensare a quanto le diverse tipologie di “casa” abbiano, nei secoli, influenzato la diffusione di modelli di famiglia, o al ruolo giocato dalle piazze nell’aggregazione, o ancora alle architetture religiose, alle scuole...
Nonostante questo nella pratica progettuale troppo spesso si danno allo spazio poteri casuali, come fosse qualcosa di estraneo al tempo e alle persone e ancor più spesso ci si accontenta di pronunciare ogni tanto la parola multidisciplinarietà o di richiedere una consulenza socio/psico/pedagogica (raramente tutte insieme).
Insomma si stenta a riconoscere che l’architetto sia un “sociologo praticante” come lo ha definito Adam Wood in un articolo molto efficace dal titolo “The elephant is the room”. (Un gioco di parole inglese per dire che il problema nella stanza, alias l’elefante, è così grande da essere la stanza stessa). Nell’articolo il sociologo ritiene che le pratiche di architettura, design e, quando si interessano allo spazio, delle scienze sociali siano affette da una sorta di feticismo spaziale, secondo cui lo spazio è considerato a priori e le relazioni tra le persone sono un risultato del progetto invece che una variabile.
Nell’articolo lancia una provocazione: com’è possibile che la variabile umana e sociale ancora non sia stata inclusa di default nel progetto? a maggior ragione in un momento in cui i software di progettazione sono sempre più intelligenti e millantano di considerare non la 4°, bensì la 5° dimensione? (vedi BIM).
Adam non poteva sapere che la risposta alla sua domanda sarebbe arrivata da lì a pochi mesi, da una startup londinese, la Multiplayer Company IMPROBABLE, una delle più finanziate d’Europa, che dal 2012 si impegna a dimostrare la serietà dei videogame e a progettarli.
Cartolina n° 1
data: 30 III 2021
luogo: Londra (Regno Unito)
n° di serie: 1
“Artificial reality before I think” questo il motto del fondatore di Improbable Herman Narula che, durante la WIRED UK Live di qualche settimana fa, ha spiegato:
“Negli anni studiosi e ricercatori di ogni parte del mondo hanno messo a punto modelli per analizzare ogni aspetto della realtà, come per esempio i movimenti delle persone, le prestazioni delle infrastrutture, la diffusione dei corridoi verdi, modelli molto sofisticati che però ancora non sono stati combinati tra loro. Il videogame può sopperire a questa mancanza. Nel mondo virtuale, costruito da network infiniti ed esponenziali, si possono combinare moltissimi parametri e costruire ambienti virtuali modellati con un tale livello di realismo da poter fornire risposte fedeli, anche alle intuizioni più azzardate, come quelle di chi progetta le città del futuro. La Improbable fornisce sistemi utili a simulare in modo attendibile la complessità della realtà”.
Il messaggio è molto chiaro: non si stanno utilizzando appieno le potenzialità del fare rete, sia a livello locale che globale, sembra che manchi l’intuizione per fare un passo oltre e costruire ponti reali tra discipline e tecnologie per un vero progetto comune.
Lazarous play map - Credit: Improbable
Il governo britannico ha colto il potenziale della start-up finanziandole lo spin-off: The Immense che simula l’impatto dei trasporti sull’ambiente urbano, riuscendo a rispondere in modo fedele a domande come: Cosa succede in una città se si introducono le auto driverless? Cosa succederà ai parcheggi? I cittadini si muoveranno più o meno di prima? Si potrà cambiare la capacità delle strade e il numero delle loro corsie? Ci sarà più o meno benessere? E cosa accadrà alla qualità della vita e alla produttività?
Alla base di tutto questo ci sono possibilità che solo il videogame può offrire che sono quelle di accelerare il tempo, di scalare comportamenti e modi e di offrire esperienze così immersive che coloro che partecipano al gioco stenteranno a credere di aver fatto solo un esperimento virtuale. E qui arriva l’altra grande intuizione di Improbable: rendere il mondo dei videogiochi democratico e accessibile.
L’inclusione è una caratteristica insita nel videogame: chiunque può partecipare e compiere azioni, indipendentemente da condizioni economiche e sociali, da razza, sesso, religione, abilità e disabilità. Proviamo per un momento ad immaginare quanto questo rappresenti una rivoluzione per la progettazione. Cosa accadrebbe se chiunque potesse, attraverso il proprio avatar, esprimersi, modificare e sperimentare un’idea e una soluzione, contribuendo con il suo personale cambiamento? Quanto potrebbe essere straordinario combinare le intuizioni per ciascun contesto: società, individuo, ambiente, salute? Quanto potenzierebbe il nostro pensiero se potessimo combinare le idee di tutti coloro che rivestono un ruolo nell’ambiente costruito?
Anche in questo caso Narula ha già fatto un passo in avanti, rendendo inclusivo il “dietro alle quinte” del mondo dei videogame, attraverso SpatialOS, la piattaforma che mette in cloud gli strumenti della progettazione, permettendo agli sviluppatori di qualsiasi parte del mondo di collaborare e co-progettare.
Come potrete ascoltare dalla voce dello stesso Herman, secondo la Improbable i giochi multiplayer avranno un profondo impatto sul mondo e permettere che solo alcune compagnie abbiano il privilegio di costruire questi strumenti è come lasciare che siano i soliti pochi a decidere quale sarà il mondo in cui vorremmo vivere.
E noi sappiamo quanto progettare la realtà sia una questione troppo seria per farla calare dall’alto. Giancarlo de Carlo lo dice da sempre: l'architettura è troppo importante per essere lasciata agli architetti. Ecco lo stesso vale per l’ambiente in cui muoviamo le nostre vite, è troppo importante perché siano in pochi a decidere del suo futuro. Quindi che tutti possano partecipare e vivere esperienze profondamente significative, nuove opportunità e nuovi modi per creare connessioni genuine e contribuire alla costruzione di un mondo migliore.
D’altro canto ... (non) È solo un gioco!
SEED play map - Credit: Improbable
Aggiornamento sul tema “la città dei minuti”:
Nella Cartolina n° zero della scorsa settimana si è accennato alla Città a 15 minuti e alla One-Minute City. L’evoluzione del concetto continua e questa volta arriva da Torino Stratosferica che ha annunciato Utopian Hours 2021 - la V edizione dell’International Festival of City Making di ottobre - il cui tema sarà The 1000-minute city. Il collettivo torinese ha argomentato la sua città dei 1000-minuti in un manifesto in 5 punti e ha formulato un programma da non perdere!
Per saperne di più su Torino Stratosferica vi rimandiamo all’ultimo post di us/them/yours. Buona lettura!
Errata Corrige: nella scorsa Cartolina, la città canadese in cui Colville-Andersen ha iniziato la sua ricerca è Calgary.
Se hai letto fino a qui … GRAZIE! Se hai qualche commento o suggerimento, scrivici!
Appuntamento al prossimo martedì!
Apprezzo moltissimo il vostro lavoro. Grazie mille e continuate a inviarmelo. Un saluto cordiale, Maya Segarra Lagunes
La somma delle “piccole cose” realizza il “grande”. Go!